Diario editoriale #8: uno scrittore che ci serve oggi
Scritto da: Ezio Quarantelli
Wendell Berry:
avevo promesso di parlarvi di lui ed eccomi a farlo.
Ma vi racconto innanzitutto come l’ho scoperto.
Devo confessarvi che fino a una decina di anni fa non sapevo chi fosse. Non sono uno specialista di cose americane (non sono uno specialista di nulla) e in ogni caso la cultura americana, nelle sue molte espressioni, è un territorio sconfinato. Quello che ci fanno leggere è una piccolissima porzione di quello potremmo, e forse dovremmo, leggere.
In realtà Berry era stato tradotto in Italia con alcuni saggi e alcune poesie da una piccola, ma antica casa editrice di Firenze, la Libreria Editrice Fiorentina, da molti anni valorosamente condotta da Giannozzo Pucci. Anzi, grazie a Giannozzo, Wendell Berry aveva annodato con l’Italia saldi rapporti. Ma io non ne sapevo nulla.
Devo la sua scoperta alle chiacchiere fatte con alcuni amici, che sono anche autori e traduttori di Lindau: Jonah Lynch, Annalisa Teggi, Edoardo Rialti. Tre belle teste, accomunate da un non comune gusto letterario.
In poco tempo ho imparato su Berry l’essenziale: le radici della famiglia nel Kentucky, gli studi di letteratura inglese culminati nell’insegnamento in varie università e poi il ritorno nei luoghi di origine (proprio nella fattoria dove era nato) per dedicarsi alla scrittura e coltivare 125 acri seguendo metodi tradizionali e biologici.
Soprattutto ho imparato a muovermi all’interno di un’opera vasta e complessa. Ci sono saggi, che spaziano su argomenti anche molto diversi, poesie e parecchia narrativa, in particolare la serie di romanzi che ruotano intorno a Port William, una città immaginaria del Kentucky, le cui storie esprimono l’essenza della sensibilità e del pensiero del loro autore.
Ma vengo al punto, e cioè alle ragioni che mi hanno spinto a pubblicarlo (e in modo esteso: fino a oggi presso di noi sono usciti 2 libri di saggi e ben 5 romanzi).
Noi viviamo in un’epoca di straordinario conformismo, anche se raramente ce ne accorgiamo. Il pensiero critico – qualunque forma di pensiero critico – sembra agonizzante. Le voci fuori dal coro sono rarissime. Bene, Wendell Berry è un perfetto antidoto per i veleni dei nostri tempi.
È in un certo senso un pensatore antimoderno: non idolatra il passato, ma non crede che “nuovo” sia sinonimo di “migliore”. Si riserva di decidere caso per caso.
Nei suoi saggi parla spesso di terra, di cibo, di economia locale, senza mai essere provinciale o “strapaesano”. Ci fa piuttosto riflettere sui costi e i benefici di un certo progresso, ci aiuta a riappropriarci della capacità di ragionare, sceverare, decidere.
Delle poesie non vi parlo, vi chiedo solo di leggere un testo, Il fronte di liberazione del contadino impazzito (e in rete trovate anche diverse traduzioni). Non vi deluderà.
E quanto alla narrativa, beh, i protagonisti dei suoi romanzi (da Jayber Crow, il barbiere di Port William, ad Hannah Coulter, ad Andy Catlett, a tutti gli altri) sono diventati per me persone di famiglia, con cui posso continuare il dialogo anche dopo aver letto l’ultima pagina dei libri che li riguardano. Nelle loro storie – raccontate in un modo piano, ma pieno di sottigliezze e di poesia – io ho trovato il ritmo della vita, l’eterna alternanza di giorni luminosi e giorni bui, la bellezza e l’indifferenza della natura, le speranze, le gioie, i dolori, le piccole e grandi disperazioni che sono il patrimonio di ciascuno di noi. E ho trovato, ed è la cosa più importante, uno sguardo capace di accogliere tutto, senza pregiudizi, ma con un senso di totale partecipazione e di profonda compassione.
Leggete Berry, ne vale la pena. Anzi, vi faccio una proposta.
Prendete un libro piccolo e poco costoso,
I primi viaggi di Andy Catlett, e abbandonatevi al racconto. Se alla fine non vi sarà piaciuto neanche un po’, scrivetemi, spiegatemi perché non vi ha convinto e io sarò lieto di farvi rimborsare la spesa. Mi pare un patto equo (Berry la penserebbe così).
D’accordo?