Diario editoriale #76: un identikit (e un editore molto ammirato)
Scritto da: Ezio Quarantelli
Durante una recente intervista mi sono state poste alcune domande che vorrei condividere con chi ci legge.
Innanzitutto mi hanno chiesto di definire Lindau con un solo aggettivo. “Inquieta”, ho subito risposto. E poi ho dovuto spiegare il perché, e lo spiego anche a voi.
Inquieta perché incurante di ogni confine di epoca, di lingua, di genere. Nomade, insomma. Ma inquieta anche perché mai soddisfatta, sempre incline al dubbio, sempre in cerca. E inquieta perché ci sembrerebbe immorale dormire sonni tranquilli (o, il che è lo stesso, amministrare quietamente il proprio orticello) in tempi come i nostri, in un mondo come il nostro.
Poi mi è stato chiesto quale casa editrice ha rappresentato per noi un modello. “Nessuna”, ho replicato. Abbiamo cercato e cerchiamo di imparare da tante, se non da tutte, ma seguendo con umile perseveranza la nostra vocazione. Una vocazione un po’ speciale, impossibile da racchiudere in una definizione o in una formula, anche perché soggetta a sfide e verifiche quotidiane e pronta a rinnovarsi senza paura. Una vocazione difficile da comunicare, quanto meno a chi si aspetta il profilo ben inciso di chi fa una cosa e una sola.
Infine mi hanno chiesto chi considerassi il più grande editore del Novecento. “Giulio Einaudi, senza dubbio”, è stata la mia risposta immediata. L’editoria italiana del Novecento è ricca di figure importanti, anche se diversamente “atteggiate”. C’è stata un’editoria più generalista e commerciale, e un’editoria che tradizionalmente si definisce “di cultura” o “di progetto”. Entrambe hanno dei meriti. Arnoldo Mondadori è stato un gigante, Roberto Calasso pure, e potrei stendere facilmente un elenco di almeno una dozzina di nomi. Ma Einaudi, ai miei occhi, brilla di una luce particolare per la sua capacità di attrarre straordinari talenti, per l’ampiezza dei suoi orizzonti, per il coraggio, e forse anche per la megalomania. Nessuna casa editrice, come quella da lui creata, ha esercitato, per almeno settant’anni, un’influenza tanto forte e penetrante sulla nostra società e, soprattutto, sul variegato mondo di chi legge. Non sono mancati gli errori e qualche concessione alle mode culturali e politiche del momento, ma il bilancio resta, a mio avviso, grandioso.
Su Einaudi è fiorita una ricca aneddotica, spesso volta a evocare le stravaganze e i capricci dell’uomo. Molti, poi, hanno richiamato le tante personalità di altissimo valore che stanno dietro a un catalogo ancora ineguagliato. Tutto vero (o quasi). Ai miei occhi, però, Giulio Einaudi resta il migliore.