Da Lindau al Connemara: il lavoro di redazione per «Parole nella polvere»
Scritto da: Paola Quarantelli
«Chiedo la parola! Chiedo la parola!».
Così dice un personaggio di
Parole nella polvere, presto in uscita per la collana
Senza frontiere, e così dico anch'io per avviare questo mio diario di bordo della navigazione dalla nostra Lindau verso il Connemara, la regione dell'Irlanda dove si svolgono le vicende di questo libro.
Quello che vi propongo è un viaggio, perché così concepisco il mio lavoro sui libri.
Dalla nostra isola al centro dell'Europa a un'altra tutta spostata a Ovest, dal momento presente all'epoca in cui è collocata la storia (a cavallo degli anni '40, prima e durante la seconda guerra mondiale), dal nostro mondo iperconnesso e ipertecnologico a quello rurale di piccole comunità senza né televisione né radio, dall'italiano (di oggi) all'irlandese di questa specifica regione attraverso la mediazione di tre, dico TRE, traduzioni inglesi (di cui una americana). Credo che almeno quest'ultimo dettaglio possa già suggerire la particolare difficoltà di questa operazione.
La revisione dei testi
In teoria di ciascun testo dovrei saperne già abbastanza per aver ricevuto indicazioni dai miei vari interlocutori oltre che per aver assegnato una traduzione. Tuttavia ogni volta è solo quando mi ci metto e affronto tutta la trafila delle tappe di lavoro che comincio a capirne davvero qualcosa.
Parto dal file in Word e comincio a sondare il terreno: è qui che mi rendo già conto se ci sono delle cose che non vanno, intravedo i tratti peculiari del testo, mi faccio un'idea di quello che mi è stato consegnato. Poi lo «ingabbio» nel file di Indesign, obbligandolo a un impianto che prevede un carattere, un'interlinea, un attacco del testo, degli spazi bianchi. In questo secondo passaggio sto già uscendo dal porto, ma ancora non sono sicura della rotta da seguire.
So dove devo andare, ma non so se andrò per la via più breve, o se dovrò toccare terra altre volte per fare rifornimento e assicurarmi di avere tutto quello che serve. Certe volte ci sono testi facili, puliti, molto ben costruiti, per i quali devo solo seguire il discorso dell'autore e verificare che tutto funzioni come sembra. In altri casi devo stare più all'erta: il testo è complesso, magari si compone di molti fili che devono inserirsi in una trama ben costruita, non troppo serrata ma neppure troppo lasca, e altri problemi del genere.
Per arrivare a destinazione non mi basta mai viaggiare in superficie, devo immergermi: la tendenza a essere analitica mi porta a continue deviazioni per capire una parola ricorrente, per seguire un discorso che mette in relazione eventi e personaggi, per comprendere come sono fatte le cose descritte. In fondo so di esplorare un mare che non è mai lo stesso, perché è quello di ciascun autore e del suo testo: un mare che avrà una natura sempre diversa, per cui non posso evitare di osservare con attenzione ogni dettaglio, per cercare di percepirne gli odori, i colori, i rumori e gli umori.
Le traduzioni disponibili
Per Parole nella polvere si è trattato di un viaggio per niente facile, fin dall'esordio. Un viaggio che ci ha portato a cercare punti di riferimento aggiuntivi là dove non ci fidavamo troppo di quelli che ci venivano forniti, perché tradurre qualcosa da una lingua di mediazione non è cosa che si possa fare con troppa leggerezza.
Oltre alle difficoltà di cui sopra, per approdare felicemente nel Connemara degli anni '40, si poneva forte e chiaro il problema della lingua, o meglio delle lingue: l'inglese della traduzione da cui avremmo tratto la versione italiana era davvero fedele all'originale irlandese, opera di quel monumento della letteratura che era Máirtín Ó Cadhain? Quale italiano avrebbe potuto esprimere il mondo della vivace comunità di Parole nella polvere?
In realtà le traduzioni disponibili erano tre: una del 2015, una del 2016 (dello stesso editore) e una ben più antica (del 1984) compiuta per un PhD presso la UC Berkeley. Senza farla tanto lunga è stato necessario tenere d'occhio tutte e tre, sapendo bene che la prima era più un adattamento che una vera traduzione, ma per arrivare a determinare i pesi e le misure, privi come eravamo di ogni nozione della lingua originale, abbiamo cercato pareri e sponde tra gli esperti disponibili, in Italia come in Irlanda, oltreché chiedere all'editore irlandese il testo primigenio e indicazioni più precise sulle caratteristiche delle prime due traduzioni.
Definita la triplice fonte cui attenersi, bisognava trovare una lingua efficace perché era un testo molto particolare quello di cui ci stavamo occupando. Tutto si svolge in un cimitero di un piccolo paese del Connemara, in un ininterrotto dialogo fra defunti, senza nessuna descrizione di situazioni e personaggi o qualche altra inserzione di inquadramento o cornice. Tutta la storia, o meglio le storie, si deducono dai discorsi tra i trapassati: sono vicende dei singoli personaggi, con amicizie e amori, odi e rancori, gelosie e invidie, tradimenti ed eredità, speranze e aspirazioni, ma anche della comunità in generale, in rapporto agli eventi storico-politici contemporanei dell'Irlanda e dell'Europa.
Peraltro non c'era nessuna indicazione che dichiarasse l'identità dell'autore delle singole battute: quindi bisognava seguire Ó Cadhain nella sua abilissima tessitura dialogica, ma ovviamente i termini, il registro e il tono, la sintassi, il ritmo, erano tutti elementi da calibrare con grande sapienza, in questo testo più che in altri, se non volevamo che al lettore italiano risultasse una noia mortale. Oltretutto non è così corto e perdere di vista una di queste componenti sarebbe stato fatale.
I quattro traduttori coinvolti
Tanto per non farci mancare niente, abbiamo pensato di affidare la traduzione a quattro traduttori, cosa che poteva (e in parte l'ha fatto) complicare il lavoro: Luisa Anzolin, Laura Macedonio, Vincenzo Perna e Thais Siciliano.
Perché non un solo traduttore? Perché poi quattro? La scelta ha tenuto conto proprio della struttura dialogica del testo, che in effetti si è prestato facilmente a riduzioni teatrali e radiofoniche, tanto più che i magnifici quattro che hanno affrontato l'impresa era già rodati e ben affiatati per altre esperienze di lavoro comunitario. L'idea era che ciascuno traducesse la sua parte, ma potesse rappresentare alcune voci in particolare.
In questo faticoso progetto io ho svolto il mio ruolo, prima cercando di sostenere e coadiuvare loro, ma soprattutto poi, conclusa la traduzione, riprendendo in mano tutto da capo a fondo, tirando le fila dei vari temi e personaggi, verificando che tutto tenesse, che ogni voce e riferimento fossero rappresentati in modo coerente, che le battute rimbalzassero bene sempre, seguendo il ritmo narrativo e quello della lingua.
Per darvi un'idea delle mie divagazioni nel viaggio verso il Connemara, credo di aver compilato due fogli A4 solo con le espressioni/esclamazioni a sfondo religioso che un po' tutti i personaggi di volta in volta inseriscono nelle loro battute. Forse la fedeltà assoluta alle diverse varianti non era sostanziale, ma come deciderlo prima di averle individuate tutte? E poi c'erano le espressioni tipicamente irlandesi, quelle che caratterizzavano il singolo personaggio (dandogli una fisionomia ben precisa), quelle che si riferivano a un episodio o una situazione ricorrenti, gli insulti o i soprannomi, i modi di dire, i giochi di parole. Un universo che si costruiva di battuta in battuta solo nella lingua parlata e che doveva risultare vivace e vario come nel testo di Ó Cadhain.
Una faticaccia per i traduttori e per me.
Non so dire se piacerà ai lettori, anche se lo spero di cuore. Quello che so è che pensavo di non uscirne viva, ma anche oggi, dopo averci lavorato tanto e averlo ripassato 4-5 volte almeno, mi diverto davvero a leggere questi dialoghi così vivi e umani, capaci di rappresentare efficacemente tutti i limiti, le difficoltà, i sentimenti del genere umano di ogni tempo e ogni luogo.
Non so se questo segnali un limite del mio modo di lavorare su una traduzione, problema che può interessare più gli specialisti di traduzione che i lettori, ma come risulta chiaro dal tragitto che ho descritto, il mio primo pensiero è «salpare» verso il testo originale, per cercare di conoscerlo il meglio possibile, avendo ben chiaro che è al lettore italiano che devo riconsegnarlo, in modo che anche lui possa leggerlo per quello che è, in tutto e per tutto.
Spero che questo possa essere il caso di Parole nella polvere.