Aprire la porta a «Merry Hall»: non solo britishness e humour
Scritto da: Paola Quarantelli
Eccomi appena sbarcata da un altro viaggio, per dare conto della nuova esperienza e condividere le suggestioni che ne ho tratto, da redattrice e da lettrice.
Di nuovo mi sono diretta a ovest, ma su una rotta che ho già bazzicato in passato e di certo più familiare anche a molti altri. Sto parlando della classica Gran Bretagna del dopoguerra dove è nato Merry Hall di Beverley Nichols. Immagino già la faccia di tutti e la nuvoletta che dice: e chi diavolo è? Io ho detto che era un viaggio verso lidi noti, ma devo riconoscere che di questo autore trovo ben poco di pubblicato in Italia e quel poco data ai cosiddetti temporibus illis. Io però in questo testo mi sono orientata subito, grazie alle mie letture precedenti, ad altri autori che hanno scritto negli stessi anni, in ragione di uno stile e uno spirito che mi hanno fatto subito sentire a mio agio dopo poche pagine.
A questo proposito apro una parentesi che un nesso con il mio discorso ce l'ha. All'inizio dell'anno ho seguito un libro di Virginia Woolf, Lettere a un giovane poeta – con le lettere che la celebrata scrittrice inglese inviò a John Lehmann, collaboratore e poi direttore della Hogarth Press (la casa editrice fondata insieme al marito Leonard), per rispondere all'impegnativo quesito: Dove sta andando la poesia, o è morta? – e, tra le altre interessanti riflessioni, sono stata colpita da un passo che vi riporto.
«Leggere, lo sai, è un po' come aprire una porta e lasciarsi invadere da orde di barbari che ti aggrediscono da ogni parte, e ti ritrovi tempestata di calci e di pugni, sbatacchiata, graffiata, denudata, lanciata in aria fino a perdere conoscenza, e poi di nuovo riacciuffata, accecata, presa a pugni, sensazioni piacevolissime per chi legge (non c'è niente di peggio che aprire la porta e trovare che fuori non c'è nessuno)».
Non è un magnifico modo per raccontare cosa si prova leggendo, cosa capita, o dovrebbe capitare, aprendo un libro (o, meglio ancora, aprendosi a un nuovo libro)? È questa l'esperienza che dobbiamo pretendere ogni volta che accettiamo di leggere?
Non è allora sbagliato indirizzarsi preferibilmente verso quello che abbiamo già assaggiato, di cui conosciamo già il sapore? (Un po' come quelli che vanno all'estero e cercano sempre di mangiare in un ristorante italiano) O anzi è solo mettendosi sulle tracce di qualcosa che ci può s-travolgere, che ha senso leggere?
Torniamo a Merry Hall.
Il narratore è il classico gentleman inglese, colto giornalista che ha girato il mondo, appassionato di giardini: basta questo per evocare tutta un'atmosfera, io credo. Posso aggiungere che al centro del libro c'è una splendida proprietà nella campagna inglese (che appunto si chiama Merry Hall), acquistata dopo la guerra da Nichols, appena ritornato a Londra da un lungo soggiorno in India. Intorno ad autore e tenuta ruotano: un magnifico tuttofare che gestisce tutti i problemi della casa, un giardiniere di competenza e capacità ineguagliabili che mette grande soggezione al padrone di casa, amici vari assortiti e due terribili donne che, fin dal suo arrivo lì, impongono la loro presenza e tormentano il misogino Nichols.
Dopo le peripezie per trovare e acquistare la proprietà, si avviano i lavori in casa e soprattutto nel grande giardino che le sta intorno. Che fare di due ettari di vera giungla, con erbacce e alberi delle peggior specie e un mefitico stagno, opera del proprietario precedente?
Senza dire altro del contenuto e rovinare la sorpresa al lettore, penso che Nichols sia un narratore nato, capace di orchestrare la descrizione di situazioni ed eventi (sempre molto vivaci), i dialoghi al fulmicotone con le due arpie, la cara vecchia Rose e Miss Emily, o quella che lui chiama la Forza Lavoro, le delicate relazioni con l'onnisciente giardiniere Oldfield e le pause di pura poesia che si prende spesso e volentieri parlando dei fiori, degli animali e degli amatissimi gatti. Di sicuro mi ha divertito, mi ha emozionato, ho sentito soggezione per tutta la cultura che vi stava dietro, l'ho anche un po' odiato per certi atteggiamenti nei confronti di certe categorie di persone.
Insomma aprendo la porta a Merry Hall ho trovato qualcuno.
E un qualcuno di tutto rispetto. Per esempio non sono rari i rimandi a opere e personaggi dell'arte e della cultura e qui ecco l'eterno dilemma: devo o non devo aggiungere una nota? In genere bandite dai costumi editoriali più recenti, a me dà un po' fastidio restare all'oscuro di quello che a un lettore inglese balena immediatamente, mi sembra di perdermi qualcosa, e allora qualche nota l'ho aggiunta. (In fondo chi preferisce tirare dritto può saltarla, no?) E fatta questa scelta, mi si para subito un altro dubbio: quali riferimenti chiarire e quali dare per scontati? Il rischio è quello di far perdere tempo spiegando ciò che è già noto a moltissimi, o di omettere quello che io conosco ma che per altri, magari più giovani, è un signor nessuno.
Eh sì perché c'è anche il problema età. Io non sono più un giovane virgulto e in più sono di parte, ma anche la traduttrice, che invece un giovane virgulto lo è, mi ha detto di essersi proprio divertita (ed è tutto detto: provate a tradurre qualcosa e vi accorgerete di quanto sia faticoso). E allora vi sottopongo un altro tema delicato.
Se i gusti sono gusti, è possibile che le storie a un certo punto finiscano di suscitare interesse nella gran parte dei lettori, magari solo a distanza di qualche generazione? Anche i libri “belli” possono smettere di parlare ai lettori? O restano interessanti solo per una striminzita riserva indiana? A parte i monumenti della letteratura, quali sono le caratteristiche che decretano, temporaneamente o per l'eternità, la fine di un autore e di un libro? Forse quando non ci denudano, non ci sbatacchiano, o accade che ci annoino, perché magari il loro orizzonte è troppo lontano da noi? La qualità della scrittura, la ricchezza di emozioni che esprime, la profondità dello sguardo dello scrittore assicurano vita eterna a un'opera di invenzione?
Se possiamo già dire di no, allora bisogna rassegnarsi a lasciare affondare nell'oblio certi testi e autori, oppure è bene resistere e dare loro sempre una possibilità?
Per chi con i libri ci lavora e vorrebbe che qualcuno li leggesse, queste sono domande cruciali.
Sentiamo cosa dice Natalia De Martino che è la voce italiana del Nichols di Merry Hall.
Cosa ha rappresentato questo testo per te, in cosa ti sei ritrovata e cosa ti ha spiazzato, cosa ti è piaciuto di più, cosa ti ha mandato in crisi?
Natalia De Martino: Per usare un termine caro a Nichols, direi che questo libro ha avuto per me un valore senz’altro nostalgico.
La famiglia di mia madre è inglese e quando ero bambina, prima di Ryanair e delle altre compagnie low cost, in Inghilterra ci si andava una volta l’anno durante le vacanze estive. Qualche settimana immersi in un giardino inglese nella campagna del Norfolk, giardino decisamente più piccolo dei due ettari di Merry Hall, ma altrettanto curato e venerato dai miei nonni. Erano settimane di totale spensieratezza. I compiti delle vacanze rimanevano in Italia. Io e mio fratello razziavamo il post office del paese per fare scorta di tutti quei tesori che in Italia non esistevano: i Twirl della Cadbury, le Maltesers, le Refreshers che ormai non si trovano più. Usavamo le mazze da croquet e per costruire delle piste da gara sul prato e ci sfidavamo sulle vecchie biciclette che c’erano lì – una devastazione del praticello perfetto che era “tollerata” a malapena dai nonni e solo perché era limitata a poche settimane l’anno.
Ecco, Merry Hall è così profondamente inglese che non poteva non riportare alla mente tutti questi ricordi.
È proprio in questa britishness che mi ritrovo con piacere perché sebbene me la porti dentro a livello genetico, vivo in Italia e, molto semplicemente, mi manca. La britishness di Merry Hall non si limita alla questione del giardinaggio, ma si estende al tono della maggior parte del testo, per lo più ironico. Un esempio di quel wit che amo e sento molto nelle mie corde. È impossibile leggere Nichols senza sentire un’eco di Jerome K. Jerome (una mia lettura d’infanzia, ulteriore valore nostalgico) o di P. G. Woodhouse (come potrebbe Gaskin, l’ineccepibile tuttofare di Nichols, non far pensare a Jeeves?).
Ma veniamo alle cose che mi hanno “sbatacchiata” o mandata in crisi.
Siamo subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il narratore è un giornalista e intellettuale inglese incredibilmente erudito che compra una villa in stile georgiano con due ettari di giardino, ha un maggiordomo personale e incontra ambasciatori, scrittori, capi di stato e attrici famose un giorno sì e l’altro pure. Inutile dire che l’unica cosa che ho in comune con Nichols è la nazionalità.
Tu hai parlato di soggezione e infatti, non si può non provarne di fronte al pozzo di scienza ed esperienza che è Nichols. Hai anche usato l’aggettivo misogino e sì, ci sono un paio di commenti non posso definire in altro modo. Certo, erano altri tempi ma è davvero una scusante? Mentre traducevo c’è stato un giorno in cui i giornali hanno riportato la notizia di tre diversi femminicidi avvenuti in diverse parti d’Italia. E, ironici o meno, è stato impossibile tradurre determinati passaggi senza provare un certo disagio.
Cosa mi è piaciuto di più? Senz’altro la varietà. Questo non è solo un testo estremamente divertente. Ai momenti di comicità si alternano momenti di assoluta poesia, scorci di storia moderna, riflessioni intellettuali, aneddoti incredibili e veri e propri consigli di giardinaggio. È un libro eclettico che, tra gli altri, accontenterà gli intellettuali, gli appassionati di giardinaggio, gli amanti dei gatti e chi ha un interesse particolare per tutto ciò che è intrinsecamente inglese.