Salone del Libro: la piccola editoria vivace e i suoi lettori
Scritto da: Ezio Quarantelli
Tutti quelli che incontro mi chiedono del Salone del Libro, se c’è stato più pubblico, se si è venduto. Io rispondo per me, per quello che mi è parso, perché non ho ancora sentito due commenti che si assomiglino.
Più pubblico? Mah, forse un po’ meno, ma io su questo punto ho da sempre idee piuttosto confuse. Per tanti anni ho sentito ripetere che il pubblico cresceva, regolarmente, edizione dopo edizione: dovevano essere proprio pochi i visitatori all’inizio se per quasi un trentennio sono cresciuti con quel ritmo.
E le vendite? Per noi buone, abbiamo incassato una piccola cifra (non credete, per favore, a chi le spara grosse), ma è senz’altro più di quello che abbiamo fatto nel 2015.
E poi tanti lettori, appassionati e dialoganti, sono passati a trovarci e questa è forse la cosa più bella e che soltanto un Salone può darti.
In generale... be’, io penso da tempo che servirebbe una energica cura dimagrante: meno stand che con i libri non c’entrano, meno incontri, meno star. Ci avvantaggeremmo tutti se ci fosse un’atmosfera più raccolta e concentrata. Più pensata per i libri e meno per lo show.
Si è ormai diffusa la strana idea che tutto debba necessariamente tradursi in spettacolo, in ribalte affollate, luci sparate, code, applausi. Io, in tutta franchezza, per i libri immagino luoghi accoglienti, illuminati il giusto, silenziosi, che inducano alla riflessione, ai piaceri lenti della lettura, della parola ben meditata, della condivisione.
Come è mia abitudine ho seguito l’incontro organizzato dall’Associazione Italiana Editori dove ci hanno raccontato che il mercato dà segni di ripresa, dopo anni infami in cui anche i grandi gruppi hanno incominciato a scricchiolare (e sappiamo com’è andata a finire). Naturalmente c’è sempre chi guadagna e chi perde, e c’è chi dice che a guadagnare sono soprattutto i piccoli editori, per lo meno alcuni fra essi.
Io non so mai come valutare questi dati, che registrano spostamenti minimi, incuranti del fatto che non conosciamo i fatturati di Amazon, o degli effetti sulle vendite del «concorsone» per i precari della scuola.
Quello che posso dire è che vedo crescere una nuova generazione di piccoli editori, vivaci, determinati e capaci di proposte di grande qualità. Migliori di com’eravamo noi quando siamo nati negli anni '80 ( Lindau nel 1989).
Attorno al nostro stand ce n’era qualcuno. L’ho ammirato e ho pensato che poteva insegnarmi molto, anche se io faccio questo lavoro da parecchio.
E ho anche pensato che i giganti sono rari, ma quelli davvero intelligenti hanno la saggezza di salire sulle spalle di chi è venuto prima e di imparare dai suoi errori per fare meglio. È ovvio, faranno altri errori, ma, se sono davvero bravi, faranno errori diversi.