La collana di corallo: un omaggio a Joseph Roth
Scritto da: Redazione
La collana di corallo è l'ultimo dei dodici racconti della raccolta
Vite vulnerabili di
Pablo Simonetti. È, come indica l'autore, un omaggio a Joseph Roth.
La traduzione è di Francesco Verde.
Franz Slama si alzò di buon umore, nonostante fuori facesse un freddo terribile: grossi pezzi di ghiaccio pendevano dal tetto e uno spesso strato di gelo ricopriva i vetri delle finestre. Si vestì senza far rumore, per non svegliare la moglie. Vederla dormire tranquilla lo riempì di gioia. La tosse che da un mese l’affliggeva insistentemente non si era ripresentata durante la notte, e ciò faceva sperare in una completa guarigione.
Quello era il primo Natale che il giovane ingegnere avrebbe passato da solo con Teodora. Il dipartimento viario del Ministero dei Lavori Pubblici lo aveva recentemente destinato a Progrody. Desiderando alleviare la nostalgia della moglie per la sua Vienna, città dove era nata e cresciuta, Slama aveva deciso di regalarle una preziosa collana di corallo, gioiello molto amato dalle donne in quella regione di frontiera. Il mercante Piczenik1 gli aveva elencato le numerose virtù del corallo, fra cui quelle di portare fortuna e combattere il malocchio, ma ciò che più aveva impressionato l’ingegnere era stato apprendere che, quando indossato da una donna, il corallo sembrava prendere nuova vita. «Vedrete come risplenderà, al collo della bella signora Slama». Nondimeno, Piczenik aveva tenuto a precisare che il rosso ineguagliabile di quella creatura dei fondi marini perdeva tutto il suo fulgore al contatto con la pelle di un moribondo: «La morte è così» aveva detto il mercante, sorseggiando dell’idromele. «Contagiosa: come una malattia».
Scese a riaccendere la stufa. In un angolo del semplice ma decoroso salotto degli Slama, si ergeva un bel ramo di abete, che lui stesso aveva tagliato e che Teodora aveva poi decorato, sistemandovi sulla punta una stella dorata. Il giovane sposo voleva a tutti i costi che quella fosse una serata memorabile. Al mercato di Slodky si era fatto dare un tacchino appena macellato, formaggio di pecora e marrons glacés. Avrebbe liberato la moglie dalla cappa di malinconia che la opprimeva, fin dall’arrivo in quella desolata marca dell’impero.
Quando sentì le assi del pavimento della camera da letto scricchiolare sulla sua testa, salì di corsa la stretta scala e trovò Teodora in piedi, davanti allo specchio dell’armadio. La abbracciò da dietro. Tirò fuori dalla tasca la collana di piccole perle rosse e gliela mise al collo. La moglie carezzò con le dita il gioiello. «Franz, non dovevi…» disse in un sospiro.
Lui la baciò alla base dei capelli castani, dove si concentrava l’aroma che l’aveva conquistato. Poi la fece girare, per guardarla di fronte. Notò che, a differenza di quanto promessogli da Piczenik, il corallo non risplendeva. Ne fu un po’ deluso. Avrebbe aspettato fino a sera, poi avrebbe portato indietro la collana. Attento a non lasciar trapelare il proprio disappunto, baciò Teodora appassionatamente e si preparò per uscire.
Alle cinque del pomeriggio, già sera lì al Nord, abbandonò l’ufficio comunale, montò sulla sua slitta a un cavallo e si affrettò verso casa.
Contrariamente al solito, Teodora non era accanto alla stufa. La chiamò, mentre toglieva il cappotto impregnato di neve, ma non ottenne risposta. Immaginò, divertito, che la moglie volesse fargli una sorpresa. Salì silenziosamente la scala. Si fermò davanti alla camera da letto e aprì la porta di colpo. La trovò che dormiva. Rise compiaciuto e la esortò: «Teodora, andiamo a cena. È Natale». Credendo che fingesse di non sentire, le si fece accanto.
Il solo ricordo che per anni ebbe di quella sera fu l’opacità del corallo. Un’opacità senza vita.
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1 Nissen Piczenik, il mercante di coralli di Joseph Roth.
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Pablo Simonetti
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