L'imperfezione del termine tolleranza
Scritto da: Redazione
Dalla cella di Yerawada, dove rimase chiuso per otto mesi, Gandhi scrisse 15 lettere (cui se ne aggiunse una sedicesima redatta dopo la scarcerazione) per continuare a guidare i discepoli rimasti nell’ashram dopo la Marcia del Sale. Qui di seguito la decima lettera della raccolta Tolleranza o uguaglianza delle religioni
Non amo la parola tolleranza ma non ne trovo una migliore.
La tolleranza implica l’ipotesi, peraltro del tutto gratuita, che la fede d’un’altra persona sia inferiore alla nostra, mentre l’Ahiṃsā ci insegna ad avere, nei confronti della fede religiosa degli altri, lo stesso rispetto che noi abbiamo per la nostra; ecco perché riconosciamo l’imperfezione del termine tolleranza.
Quest’ammissione sarà facile per chi cerca la Verità, per chi ubbidisce alla legge dell’Amore. Se giungeremo alla visione piena della Verità, non saremo più persone in ricerca, diventeremo però una cosa sola con Dio perché la Verità è Dio stesso.
Dato però che non siamo per il momento altro che in ricerca, continuiamo in questo senso e siamo coscienti della nostra imperfezione.
Ora, se noi stessi siamo imperfetti, anche la religione, come noi la concepiamo, deve esserlo. Non abbiamo mai realizzato la religione nella perfezione, così come non abbiamo mai realizzato Dio. Poiché la religione, così com’è, è incompiuta, ci sembra sempre suscettibile d’evoluzione e di reinterpretazione. Il progresso nei confronti della Verità e di Dio non è possibile che in ragione di quest’evoluzione.
Se tutte le concezioni religiose che osservano gli uomini sono imperfette non esiste questione di superiorità o inferiorità dell’una nei confronti dell’altra. Tutte le fedi sono rivelazioni della Verità ma tutte sono imperfette e fallibili. Il rispetto che proviamo nei confronti delle altre religioni non ci deve impedire di vederne i difetti.
Dobbiamo essere così intensamente coscienti delle mancanze del nostro credo religioso, e non abbandonarlo di certo per questo motivo, da provare però a superarne i limiti.
Se consideriamo imparzialmente tutte le religioni non esiteremo a mescolare alla nostra tutte le caratteristiche desiderabili delle altre, poi però valuteremo che questo per noi è un dovere. Il problema che si pone allora è il seguente: perché tante fedi diverse?
Lo Spirito è uno ma i corpi che vengono animati da quello Spirito sono molti.
Non possiamo ridurne il numero, tuttavia riconosciamo l’unità dello Spirito. Allo stesso modo d’un albero che ha un sol tronco ma molti rami e foglie, non esiste una sola religione vera e perfetta, che diventa però molteplice avendo l’uomo come intermediario. La religione unica è oltre il futuro del linguaggio. Degli esseri imperfetti non possono esprimersi che nella lingua di cui dispongono e le loro parole sono sempre interpretate da altri uomini ugualmente imperfetti.
Qual è l’interpretazione che si deve accettare come vera? Ognuno ha ragione dal suo punto di vista ma non è impossibile che tutti abbiano torto. Da qui la necessità della tolleranza che non è indifferenza per la propria fede ma un amore più puro e intelligente nei suoi confronti.
La tolleranza ci dà un potere di penetrazione spirituale così lontano dal fanatismo quanto il Polo Nord lo è dal Polo Tolleranza o uguaglianza delle religioni Sud. La vera conoscenza della religione fa cadere le barriere tra una fede e l’altra. Coltivando in noi stessi la tolleranza verso altre concezioni religiose, acquisteremo una comprensione più vera della nostra. È chiaro che la tolleranza non s’assume il compito di distinguere il bene dal male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, né ho voluto parlare qui delle principali fedi sparse nel mondo. Tutte poggiano su basi comuni, tutte hanno dato grandi santi.
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Il libro:
Lettere all'ashram
di Mohandas Karamchand Gandhi
Traduzione di
Brunilde Neroni