Joris-Karl Huysmans: la critica d'arte e il dilettantismo
Scritto da: Redazione
Il 5 febbraio 1848 nacque Joris-Karl Huysmans, scrittore francese e padre del decadentismo. Ma Huysmans fu anche un appassionato critico d'arte. Nel libro Soltanto qualcuno, una raccolta di ritratti di artisti, fa una riflessione sulla critica d'arte e sul dilettantismo. In occasione dei 170 anni dalla sua nascita, pubblichiamo un estratto dal primo capitolo del libro, tradotto da Eleonora Ortoleva.
Uno dei sintomi più sconcertanti di questa nostra epoca è la promiscuità dei gusti. L’arte, come lo sport, è diventata una delle occupazioni preferite dai ricchi e le mostre si susseguono con ugual successo, quali che siano le opere esibite, purché se ne occupino i padroni dei giornali e le esposizioni abbiano luogo in una galleria rinomata, in una sala considerata elegante.
La moda di questo genere di passatempi si spiega facilmente.
Innanzitutto, l’aridità dei cervelli dati in sorte alla gente di mondo trova nello sfoggio regolare dei disegni e delle tele frivole risorse da alternare alle discussioni politiche stantie e ai pettegolezzi sul teatro destinati prima o poi a esaurirsi; inoltre a volte, la sera, i luoghi comuni sulla pittura sostituiscono anche le chiacchiere mondane e scongiurano le sonnacchiose meditazioni delle partite a bouillotte o i silenzi diplomatici dei giocatori di whist.
Infine – e questa ragione da sola basterebbe – andare a vedere le opere più diverse e contrastanti tra di loro, dichiarando per tutte la stessa ammirazione, implica un’apertura mentale, una flessibilità nella fruizione artistica, veramente ammirevoli.
Per la letteratura soprattutto, gli intenditori spregiudicati abbondano. In effetti – chi potrebbe mai dubitarne – tutti sono in grado di giudicare delle frasi. A volte può capitare che dei fossili, delle persone arretrate, degli ingenui borghesi, confessino di non essere affatto sicuri della validità dei loro apprezzamenti sulla pittura; alcuni sono disposti ad ammettere che il senso della musica gli sfugge, e si spingono fino a dichiarare che le opere di Wagner forse non sono del tutto folli, ma nessuno ha mai riconosciuto la propria assoluta inettitudine a capire una pagina di prosa o di versi.
Prendete nella massa dei parigini i principi più blasonati e i verdurieri più disonesti della zona; scegliete, nel mucchio, la ragazza più volgare o la baronessa più in vista, e se ne verranno fuori immediatamente con un’opinione, a proposito di un libro, sicura, consapevole, ponderata, ferma. Mai e poi mai qualcuno ammetterà di non essere assolutamente in grado di apprezzare un’arte che pure è la più complicata, la più inaccessibile, la più altera di tutte.
Chi di noi del resto non ha visto, in mezzo ai fogli rilegati che i borghesi e la gente di mondo chiamano «la loro biblioteca», l’indecente accostamento di un Ohnet e di un Flaubert, di un Goncourt e di un Delpit 1? Chi non si è sentito smuovere deliziosamente mentre l’intenditore buttava lì con tono noncurante: «Sapete, sono un eclettico, tutto mi interessa, posseggo esemplari artistici di ogni genere, senza limiti di scuola». Ancora recentemente un giovane gentleman che dice di ammirare sinceramente l’Assommoir di Émile Zola, ha espresso in mia presenza l’ardente desiderio che quel vecchio buffone di Sarcey 2, il pedante del «Temps» noioso come la pioggia, raccolga finalmente in un libro le eiaculazioni teatrali del lunedì!
Ebbene, si tratta di persone aperte, di delicati apprendisti, di dilettanti!
Ahimè, forse però in questi ultimi tempi si è un po’ abusato della parola «dilettante»!
In fondo, se si lascia da parte il significato falso e pretenzioso che le viene attribuito e la si considera più da vicino, si può scomporre e scindere nelle due parti che in realtà la compongono: – imbecillità da una parte – viltà dall’altra.
Imbecillità della gente di mondo; viltà della stampa che la comanda.
Imbecillità dal punto di vista artistico, voglio dire, che è quello che ci interessa, completa mancanza di senso dell’arte, lodi volubili, distribuite a casaccio, come palline della tombola, una perfetta ignoranza che si traduce in elogi banali.
Dal punto di vista pittorico, l’esempio più decisivo di quanto affermo ci è stato offerto qualche anno fa. Le mostre di Delacroix e di Bastien Lepage 3 erano contigue; le signore che, come è noto, si interessano vivamente alla pittura – e la capiscono tanto quanto la letteratura – che è tutto dire! –, si spostavano senza batter ciglio dalle Beaux Arts alla casa di Chimay 4 e guardavano con la stessa ammirazione l’ Ingresso dei Crociati in Costantinopoli di Delacroix e le bovare da operetta, agghindate da quel Grévin da cabaret, quel Siraudin di periferia che era Lepage 5. I luoghi comuni imperversavano: «Il bello bisogna ammirarlo dov’è. Delacroix fu un grande pittore, ma perché non dovrebbe esserlo anche Bastien?». E nessuno, dico nessuno, trasaliva davanti al tono ridicolmente familiare con cui un office veniva accostato a un salone, un lacchè a un signore!
Sono proprio degli incoscienti. Si aggiravano con fare distaccato, soppesando l’opera dei due pittori alla quale sicuramente, bisognosi come sono di distribuire elogi, accosteranno l’opera di Lobrichon e Adrienne Marie 6, quando la morte porrà termine finalmente al flusso di vignette sentimentali di cui queste operose creature ci inondano!
Viltà è il termine giusto per la critica d’arte.
Come il critico letterario da cui prende esempio, il critico d’arte è generalmente un letterato che non è riuscito a produrre di testa sua un’opera degna di questo nome. Alcuni di loro sono vacui, esattamente come la gente di mondo che invidiano e scimmiottano; le loro opinioni sono quindi ben note. Ma ve ne sono altri, più aperti, più scaltriti, che usano la parola dilettantismo per professare la necessità di non impegnarsi, il bisogno di non affermare mai niente, insomma la viltà delle idee e l’ipocrisia della forma.
Per i critici, l’instabile terreno sul quale si muovono è un terreno redditizio. Esaltare o denigrare gli artisti morti; evitare di compromettersi parlando dei vivi; incensare con frasi ruffianesche le vacche da mungere accademiche dei vecchi premi; fare i pagliacci, sostenendo tesi acquiescenti e idee scontate; con il pretesto di analizzare, snocciolare i luoghi comuni più nauseanti, in un linguaggio limaccioso che per simulare la profondità si serve dell’oscurità delle incidentali: il trucco è questo.
Il critico esitante e tronfio, smorto e fiacco, che usa questo metodo, è immediatamente considerato un uomo di gusto, un uomo distinto, comprensivo, incantevole, fine e delicato – ahimè soprattutto, fine e delicato! A lui vanno onori e profitti e del resto penso proprio che non cerchi altro.
La verità è che un eclettico, un dilettante, non può né comprendere né amare veramente l’arte. Non si può andare sinceramente in estasi davanti a Delacroix se si ammira Bastien Lepage; non si può amare Gustave Moreau se si accetta Bonnat, né Degas se si tollera Gervex 7.
Fortunatamente la vantaggiosa condizione del dilettante ha il suo rovescio; in questi eccessi di pusillanimità, in queste orge di prudenza, fatalmente la lingua si indebolisce, avvizzisce, torna allo stile triste e plumbeo degli Institut, si liquefa nel verbo umido di Renan; perché non c’è talento se non si ama con passione o non si odia allo stesso modo; l’entusiasmo e il disprezzo sono indispensabili per creare un’opera; il talento è dei sinceri e dei rabbiosi, non degli indifferenti e dei vili.
Ma quanti sono attualmente i pittori che penano, si arrabbiano e soffrono sulle loro opere?
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1 Georges Ohnet (1848-1918), letterato e scrittore francese di testi popolari. Albert Delpit (1849-1893), romanziere e autore drammatico. [n.d.r.]
2 Francisque Sarcey (1827-1899), critico teatrale e romanziere. [n.d.r.]
3 Jules Bastien-Lepage (1848-1884), pittore. [n.d.r.]
4 École Nationale des Beaux-Arts, Hôtel de Chimay, 17, quai Malaquais: il 17 maggio 1885, per inaugurare l’hôtel de Chimay che aveva appena assorbito l’Ecole des Beaux-Arts, si apre una retrospettiva di Bastien-Le-Page contemporaneamente a una di Delacroix. [n.d.r.]
5 Alfred Grévin (1827-189), scultore, caricaturista, di- segnatore e creatore dei costumi per il teatro francese. Paul Siraudin (Sidorin) (1812-1883), librettista e drammaturgo. [n.d.r.]
6 Timoléon Marie Lobrichon (1831-1914), pittore e illustratore. Adrienne Marie Louise Grandpierre-Deverzy (1798-1869), pittore. [n.d.r.]
7 Léon Bonnat (1833-1922) pittore, incisore e collezionista d’arte. Henri Gervex (1852-1929), pittore. [n.d.r.]
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