E se il clown di Stephen King fosse davvero esistito?
Scritto da: Mario Arturo Iannaccone
Quando nella tarda estate del 1990 arrivai di fronte alla casa di Stephen King a Bangor, nel Maine — ero lì per imparare la lingua — avevo tra i miei libri It. Lo stavo leggendo proprio in quel periodo, tentando di fare a meno del dizionario. All’epoca era uno dei più lunghi e complessi romanzi che lo scrittore di Bangor avesse scritto e uno dei più ambiziosi. Avevo letto almeno una decina di sue opere, e diverse raccolte di racconti. Già allora esistevano molte riduzioni cinematografiche tratte da suoi romanzi o racconti, da Carrie. Lo sguardo di satana a Christine. La macchina infernale e tanti altri.
Avevo già visto in foto la casa, il cancello con le ali di pipistrello, la costruzione gotica in legno dipinto. Ma trovarmi fisicamente di fronte alla casa del re del brivido, in quella cittadina così sperduta del Nord americano e lungo quella statale 95 trafficatissima che compariva in tanti suoi racconti — su quella strada era morto il gatto di Pet Sematary — faceva effetto. Già nel tardo agosto, in quella zona del Maine, le mattine sono spesso nebbiose e quel giorno c’era la nebbia; per qualche minuto nascose quella strana casa, a metà fra la dimora di un folle e una baracca da Luna Park.
Il gatto del film «Pet Sematary».
It (1986) lo considerano in molti il capolavoro di Stephen King. Nessuno ha mai realmente tradotto quel titolo: “It”, la cosa o “Esso”; il demone che arriva dall’oscurità o da altre dimensioni — come i mostri di Lovecraft. Il mostro insegue un gruppo di bambini attraverso gli anni manifestandosi quando le loro vite, da adulti, hanno preso strade diverse, e ormai vivono lontano. Allora sono costretti a fare i conti con quel loro inaudito passato. Lo scrittore è stato piuttosto generoso con i suoi lettori, e dai racconti di Salem’s Lot alle tremende immagini mortuarie di Pet Sematary, è difficile capire quale sia il suo vertice letterario. Sicuramente It è tra questi, certamente uno dei più amati. Se non è il suo capolavoro è tra le sue opere più riuscite che merita anche una seconda o terza lettura. Di It si apprezza quella tecnica descrittiva magistrale che è uno dei tocchi di Stephen King: saper immergere il lettore nel suo mondo diegetico attraverso descrizioni dinamiche che fanno “toccare” oggetti e vedere ogni aspetto dell’universo narrativo in cui si muovono i personaggi. Non a caso, il lungo e complesso romanzo, diviso su due piani temporali, con i suoi molti personaggi e numerose indimenticabili, disturbanti, scene, resta nella memoria di molti.
Oggi esce la seconda riduzione cinematografica dopo la modesta, lenta, miniserie televisiva uscita nel 1990 e diretta da Tommy Lee Wallace, uno degli attori di The Fog (1980) di John Carpenter, oltre che regista di Halloween III (1982). Nella miniserie di Lee Wallace, Pennywise — il demone mutaforma che prende le fattezze di un clown — non turba e non convince. La nuova riduzione è affidata a un giovane regista argentino, Andrew Muschietti, , che ha al suo attivo una sola opera: La Madre (2013). Una storia gotica dell’orrore, notevole per atmosfere e per gli spaventi che infligge.
Possiamo aspettarci il meglio anche perché questa volta la sceneggiatura è stata affidata direttamente a Stephen King, a differenza di quanto accadde nel 1990.
Al di là delle considerazioni che riguardano il romanzo e il film, i loro rapporti e la felicità di questa trasposizione, resta un altro fatto, più nascosto, che forse merita di essere conosciuto.
Il bambino assassino vestito da clown in «Halloween» di John Carpenter.
L’antagonista di It assume, come sanno i lettori, l’aspetto di un clown. Quel tipo di travestimento che prima di allora aveva divertito generazioni di bambini si rovescia nel suo contrario: un feticcio di orrore. Ma allora il clown disturbante apparso poi in tanti film è davvero un’invenzione esclusiva di Stephen King? Non precisamente.
E si può facilmente spiegare il perché: la stesura del romanzo fu iniziata nel 1981 e conclusa cinque anni più tardi. Scopriamo allora che il periodo di elaborazione della storia e l’inizio della stesura coincide con la scoperta e lo sviluppo mediatico di un fatto di cronaca che si annovera fra i più terribili della storia dei serial killer americani: la cattura di John Wayne Gacy (1942-1994). Un insospettabile uomo d’affari di un certo successo, soprannominato Killer Clown e
arrestato a fine dicembre 1978 (l’anno del film Halloween dove appare un bambino assassino vestito… da clown!).
John Wayne Gacy, il Killer Clown
Tra il 1979 e il 1980 le atrocità commesse da John Wayne Gacy tennero banco nelle televisioni statunitensi in un crescendo di orrori.
Sotto la sua casa e in un canale poco distante, furono rinvenuti i cadaveri di 33 ragazzi, alcuni veri e propri bambini, che erano scomparsi negli anni precedenti. Per consentire la raccolta di tutti i resti umani, la casa di Gacy fu rasa al suolo. Lʼomicida fu tradito dall'odore di decomposizione che saliva dallʼintercapedine sotto la casa.
Ciò che lega Gacy a Pennywise — fatto accennato da King in più interviste — è che l’assassino amava vestirsi da clown. Gacy aveva inventato anche un nome per il suo personaggio, che giudicava divertentissimo: Pogo il Clown. E Pogo, che amava scherzi sinistri, può essere “ammirato” in alcune fotografie scattate durante le feste a cui Gacy partecipava per passione — senza farsi pagare — organizzate da mamme e papà ignari di ospitare in casa un feroce serial killer. Il fatto che Gacy amasse impersonare un clown ha influito sulla sempre più frequente rappresentazione di clown malvagi in film horror.
Anche se Stephen King non l'ha mai ammesso esplicitamente, il crudele Pogo, che tiene in mano palloncini colorati, è l’immagine originaria che si è impressa nella sua memoria quando ha creato Pennywise. In quelle fotografie di cronaca King deve aver visto per la prima volta il ghigno e gli sgargianti colori della sua creatura d'incubo.