Diario editoriale #9: serve un po' di verità
Scritto da: Ezio Quarantelli
I dipendenti della casa editrice sono in cassa integrazione dal 1º marzo e non hanno ancora ricevuto un soldo.
La casa editrice ha chiesto di accedere al finanziamento “rapido” (quello che avrebbero dovuto erogare senza formalità, in ventiquattr’ore!) e dopo quindici giorni non ha ancora ricevuto un soldo.
Una dipendente della casa editrice ha cercato di attivare il voucher baby sitter, ma non è riuscita a sapere né dal patronato né dal suo commercialista se l’attivazione era compatibile con la sua situazione.
Oggi lunedì 4 maggio la casa editrice dovrebbe riaprire. Il 30 aprile ho seguito un webinar dell’Associazione Italiana Editori dedicato alle misure da adottare per consentire il rientro di una (piccola, nel caso nostro) parte dei lavoratori. Le regole stabilite dal Governo con la collaborazione di vari altri soggetti non fanno distinzione fra un’attività che impiega poche persone e un’impresa che ne impiega migliaia. Gli adempimenti obbligatori o fortemente consigliati sono tali e tanti che per il momento non potremo riaprire. La prossima settimana studierò meglio il problema per capire che cosa ci è possibile fare per riprendere una minima attività senza rischiare la galera.
Racconto questi fatti non per aggiungermi al coro di chi piange e si lamenta (anche a ragione), ma per dirvi che molte delle cose che leggete sui giornali (anche quelli molto autorevoli) o sentite alla radio o in televisione, sono chiacchiere. Ripeto: chiacchiere.
L'altra mattina, facendo le pulizie di casa, ho ascoltato Radio Tre che ha dedicato molto spazio al tema del lavoro. Era molto giusto parlare di questo argomento, e non solo perché era il 1º maggio, ma alcune delle cose che ho sentito mi hanno lasciato senza parole.
Qualcuno, ad esempio, riproponeva l’antico ritornello del “lavorare meno, lavorare tutti”. Io sono d’accordo, ma siamo tutti anche disposti a guadagnare meno (con quanto ciò comporta)?
Un noto sociologo, specialista del ramo, tesseva le lodi del telelavoro, che ci permetterebbe di godere finalmente la casa e di riappropriarci del quartiere in cui viviamo. Il mio primo pensiero è stato: beh, dipende dalla casa, e dal quartiere. Il secondo, invece, è stato: come funziona il telelavoro delle cassiere dei supermercati, dei poliziotti, di chi raccoglie le patate e i pomodori, delle badanti, dei medici, degli infermieri, dei panettieri, dei netturbini, e potrei continuare all’infinito, senza parlare di chi lavora in fabbrica e ci permette molti degli (spesso inutili) consumi, senza i quali fatichiamo a vivere?
Di nuovo chiacchiere, montagne di chiacchiere, servite in ragionamenti che sembrano ben costruiti, ma che si basano sul nulla, o forse, semplicemente, hanno una valore circoscritto, e tutto sommato trascurabile.
Se vogliamo che ci sia un giorno una vera ripartenza non dovremo sconfiggere soltanto il Covid-19, ma anche questa tempesta di chiacchiere che impedisce ogni serio ragionamento.
Resta valida anche oggi la ricetta a suo tempo indicata da Carlo Rosselli per il socialismo: se l’Italia (e l’Europa, e le nostre aziende e le nostre famiglie) vogliono avere un futuro c’è bisogno «di idee poche e chiare, di gente nuova, di amore ai problemi concreti».