Diario editoriale #55: storia di un nome (e di una vocazione)
Scritto da: Ezio Quarantelli
Ogni tanto qualcuno mi chiede la ragione del nome Lindau, che è senza dubbio il frutto di una scelta inconsueta nel panorama editoriale.
Devo innanzitutto confessare che è un nome “rubato”, e non certo, o non solo, all’antica città sul lago di Costanza, ma a una piccola rivista progettata da un gruppo di amici di belle speranze, che ambiva a essere un periodico di informazione bibliografica ad ampio raggio. Il suo numero zero – lo conservo con cura in archivio – inalbera come titolo proprio “Lindau”, mentre come sottotitolo compare la dizione “Editoria internazionale”. Richiesto di una consulenza, e riflettendo sul carattere tecnico di una pubblicazione destinata agli addetti ai lavori, suggerii di promuovere a titolo “Editoria internazionale”, in modo che fosse subito chiaro ciò di cui si sarebbe parlato. Questo accadeva nel 1988.
Quando, all’incirca un anno dopo, decisi di dar vita a una nuova casa editrice il nome singolarmente suggestivo di Lindau mi tornò subito alla mente e lo adottai senza troppe esitazioni.
Che cosa mi aveva così risolutamente attratto? Innanzitutto l’immagine di una piccola isola collocata nel centro ideale dell’Europa.
Un’isola evoca in me un’immagine di traffici, di partenze e di arrivi e però anche quella di un relativo isolamento che induce alla concentrazione e alla riflessione. Chiunque abbia vissuto su un’isola non troppo grande conosce il singolare contrasto fra il fervore del giorno e il silenzio e la calma speciale che scende su tutte le cose al tramonto del sole.
In questa dinamica ho visto qualcosa di molto adatto a esprimere i ritmi del lavoro editoriale, che è fatto di scoperte, di rapporti, di viaggi, ma anche di isolamento, di solitudine, di lenta maturazione.
Il fatto poi che Lindau si trovasse in certo modo nel cuore del nostro continente rappresentava un’altra potente suggestione.
Dell’Europa (della vecchia Europa) possiamo pensare, con ragione, tutto il male possibile, ma è indiscutibile il fatto che essa ha dato vita ad alcune delle più alte espressioni dello spirito umano. Se fin dall’inizio (un inizio che racconterò, una volta o l’altra) Lindau si è caratterizzata per apertura, spirito di avventura e inclinazione alla ricerca, questo è stato possibile perché sentivamo profondo e saldo il rapporto con le grandi culture del nostro passato, dalle più remote alle più prossime nel tempo e nello spazio.
Quello che a mio avviso non capiscono i troppi, facili fautori di una società multiculturale (che del resto è un fatto compiuto) è che l’incontro con l’Altro è onesto, rispettoso e fruttuoso, quando non si ignorano, ma anzi si riconoscono e valorizzano, le proprie radici.
Agli incontri “fusionali” sono per me sempre da preferire quelli che si basano su un franco riconoscimento delle diversità, prodromo necessario per un reciproco arricchimento.
Nella storia di Lindau (la città) non mancano poi alcuni tratti degni di nota (città libera dal 1274, nel 1445 instituì un collegamento postale con Milano, il Mailander Bote), ma più ancora forse conta una certa fortuna letteraria. Se è nota a tutti la poesia che a Lindau dedicò Montale, meritano di essere richiamati i versi di Hölderlin, che ne parla come di “una delle porte ospitali che lusingano viaggi”. Una delle porte ospitali che lusingano viaggi: c’è una definizione migliore per una casa editrice?