Diario editoriale #52: servono ancora le grandi fiere?
Scritto da: Ezio Quarantelli
Quando, molti anni fa, ho incominciato a occuparmi di editoria, non esistevano i grandi gruppi che oggi dominano il mercato, le case editrici (indipendentemente dalle dimensioni) erano abitate da professionisti appassionati e competenti che conoscevano i dettagli di ogni singolo libro in uscita, i cataloghi venivano aggiornati e stampati una o due volte l’anno e si comunicava attraverso il telefono e il fax (rari i viaggi e le visite e comunque limitati all’Europa e a chi se li poteva permettere). La Fiera di Francoforte era una festa dove si davano appuntamento gli editori di tutto il mondo per presentare la propria produzione e i propri progetti, dove si scoprivano libri e autori, dove spesso nascevano fruttuosi rapporti personali. E oggi?
Oggi si comunica ogni giorno, addirittura ci si incontra attraverso Zoom e altri programmi analoghi e qualunque notizia circola in tempo reale. I grandi gruppi sono divenuti i collettori di una infinità di marchi diversi e sono spesso rappresentati da impiegati più o meno solerti abituati a recitare, per ogni libro di cui gli tocca parlare, un discorsetto che non dice nulla e a nulla serve. Le fiere internazionali (Francoforte e Londra, essenzialmente) sono divenute i luoghi di una stanca liturgia, a cui nessuno, però, si sente di rinunciare. Certo, l’immersione di qualche giorno in queste arene resta un’esperienza bella e stimolante, ma sempre meno utile.
Fra l’altro, per quanto strano possa sembrare, alle Fiere internazionali non si vedono poi tanti libri. I grandi gruppi accolgono editor ed editori dentro fortilizi con decine di tavoli dedicati agli appuntamenti, dove di fatto si può penetrare solo se si è attesi e quando arriva la propria ora. I giorni utili per il lavoro tendono a diminuire e anche le ore della giornata davvero fruttuose sono ormai una manciata. Verso le 17, soprattutto a Francoforte, comincia per tutti la spasmodica ricerca di uno stand dove offrano da bere e da mangiare e mi pare che, tra una birra e un'altra, resti poco spazio per le chiacchiere professionali.
Devo confessare che amo molto di più le fiere destinate al pubblico dove i libri sono assoluti protagonisti. Imparo di più andando al Salone del Libro di Parigi o alla fiera di Madrid (che per altro si tiene in un parco bellissimo) e mescolandomi al flusso disordinato dei visitatori, che nei corridoi immacolati dei luoghi riservati agli operatori.
E allora? Francamente non mi piace fare sempre la parte di chi dice che “il re è nudo” (e, poi, io sono solo un piccolo e trascurabile editore), ma è impossibile ignorare che è quanto meno… in mutande, e non è davvero un bello spettacolo.
Anche in questo caso c’è da riflettere, da ripensare e da riprogettare, se qualcuno ne ha voglia.