Diario editoriale #49: umanesimo e antiumanesimo
Scritto da: Ezio Quarantelli
È difficile ignorare i sintomi sempre più frequenti e diffusi di un antiumanesimo strisciante.
Se ne trova traccia in ambienti e in contesti anche molto diversi. Spesso chi se ne fa propagatore non è consapevole del significato e della portata delle sue affermazioni, non di rado fatte a sostegno di buone cause, che non sarebbe giusto contrastare.
Esiste ad esempio una forte componente di questo genere in molti ragionamenti, affermazioni, battaglie a difesa dell’ambiente e dei suoi abitanti non umani. L’essere umano diventa quasi un ospite improprio del pianeta, che può essere tollerato soltanto a condizione che cancelli ogni segno della sua presenza.
Esiste un’altrettanto forte componente di questo genere in molti ragionamenti, affermazioni, battaglie che mirano a estendere i diritti o le capacità degli individui, forzando o negando il dato di natura. La tecnica ci permette di fare molte cose mirabolanti, in alcuni casi al servizio dell’uomo, in altri casi negando un tratto essenziale della sua umanità: i suoi limiti. Infatti già da tempo si parla di transumanesimo, o di postumanesimo.
Non entro – per il momento – nel merito delle singole questioni, ma mi limito a una riflessione.
Esiste un umanesimo (o uno pseudoumanesimo) orgogliosamente antropocentrico e dunque spesso supponente, arrogante, anche violento. È quello di chi con le parole, ma più spesso con i fatti, afferma il diritto degli esseri umani a un dominio assoluto sul pianeta. È quello di chi brandisce i propri principi, dichiarandoli immutabili e inviolabili in ragione di qualche Principio superiore e assoluto, e non esita a calpestare le legittime aspirazioni di molti a vedere riconosciuti i propri diritti.
Questo umanesimo non è il nostro.
Esiste però (o può esistere) un umanesimo aperto, sensibile, inquieto, mite, che attribuisce agli esseri umani il ruolo di custodi (attenti, previdenti, pieni di cura) del pianeta e di tutti i suoi abitanti, che è orgoglioso dei traguardi raggiunti dalla nostra specie in molti campi, ma che non smette di interrogarsi sulle tragedie causate nei secoli dai nostri simili, che è lieto di contribuire in ogni modo alla realizzazione e alla felicità degli individui e che nel contempo riconosce l’esistenza di limiti forse invalicabili e che comunque non sarebbe opportuno valicare. È un umanesimo laico, ma che si nutre dei meravigliosi depositi della spiritualità e della saggezza umane. È un umanesimo fragile, ricco di dubbi, di rischi, di tentazioni, sempre esposto al fallimento, ma sempre pronto a ricominciare con buona lena la propria battaglia.
Questo – piaccia o no ai tanti nostri critici – è il nostro umanesimo.