Diario editoriale #40: ancora Orwell e un paio di vizi nazionali
Scritto da: Ezio Quarantelli
“Per scrivere in un linguaggio franco e vigoroso occorre pensare senza paura, e se si pensa senza paura non si può essere politicamente ortodossi.”
Così scrive George Orwell in un saggio (“La negazione della letteratura”, 1946) che ci apprestiamo a pubblicare, in un libro piccolo ma prezioso ( Sullo scrivere e sui libri), notevole per la forza delle idee e anche per il senso dell’umorismo.
Pensare senza paura e di conseguenza accettare di essere esclusi da ogni ortodossia: in fondo è stato da sempre il programma di Lindau (forse perché è il mio personale).
Naturalmente questo non dispensa dal commettere errori di valutazione anche gravi, semmai significa saperli riconoscere, accettare e farsene carico. Del resto, ho sempre preferito sbagliare in proprio, piuttosto che per conto terzi.
Ma la libertà ci espone a molti altri rischi. Ad esempio, l’impopolarità. In un paese da sempre drammaticamente (e pateticamente) diviso in opposte tifoserie, scegliere di stare soltanto dalle parte delle proprie idee e dei propri dubbi – e dunque magari una volta di qui, un’altra volta di là – significa essere sostanzialmente invisi agli uni e agli altri, o comunque essere guardati con sospetto da entrambe le parti.
Non si è mai abbastanza di sinistra per chi è di sinistra, mai abbastanza di destra per chi è di destra, mai abbastanza ortodossi (appunto), mai abbastanza alternativi e, come ovvio, mai abbastanza politicamente corretti.
Di tutto ciò fece in anni ormai lontani personale esperienza un intellettuale di grande livello, ma molto scomodo, come Giuseppe Prezzolini, “l’anti-italiano”. Non sono in molti a ricordarlo e tante sue pagine sono sicuramente invecchiate, ma il suo spirito è sempre molto attuale e solo per questo andrebbe riscoperto.
A lui non è toccata quella riabilitazione (quasi) postuma che toccò invece a Montanelli, divenuto un’icona della sinistra non appena incominciò la sua battaglia contro Berlusconi. Questo grande conservatore, in fondo un po’ algido nonostante gli umori toscani, dall’oggi al domani si trasformò in un esempio di quelle “schiene diritte” che non si piegano di fronte al potere. Che strano e sorprendente cambiamento di fronte (dei suoi avversari, intendo)! Ma qui, forse, entra in gioco l’altro grande vizio nazionale: il trasformismo. Vi dice qualcosa?