Diario editoriale #35: elogio dell'imperfezione
Scritto da: Ezio Quarantelli
“Come hanno potuto questi titolari di cattedre, autori di ricerche straordinarie, decine e decine di medici che avrebbero fatto la storia della scienza nel ’900, tradire il giuramento di Ippocrate e distruggere così tante vite umane per il loro ‘bene’ e per il ‘bene’ della medicina? E cosa rappresenta quella storia indicibile per noi? Perché la esorcizziamo ripetendoci che erano solo dei ‘mostri’? Condannare non è sufficiente. Quei medici e scienziati non erano dei sadici o dei pazzi, ma dei luminari, medici dal curriculum impeccabile, ricercatori stimati, accademici con cattedre di prestigio, scienziati noti in tutta Europa.”
Queste righe sono tratte dalla quarta di copertina di un bellissimo e inquietante libro di Giulio Meotti, che arriva oggi in libreria: Ippocrate è morto ad Auschwitz. La vera storia dei medici nazisti.
In esso non troverete soltanto le storie che credete di conoscere (quella del dottor Mengele, ad esempio, ampiamente divulgata da libri e film). Troverete soprattutto le storie di persone “normali”, di stimabili e brillanti ricercatori e professionisti, che in nome del progresso e della scienza si sono trasformati in cinici orchi. E che caduto il nazismo hanno spesso continuato le loro onorate carriere.
Ma il problema è più serio e più grave. Perché ciò che accadde allora potrebbe ripetersi, in altre forme, più sottili, più moderne, più socialmente accettabili.
La prova generale della Shoah fu l’Aktion T4, il programma nazista di eutanasia che, sotto responsabilità medica, prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili e di portatori di handicap mentali, cioè delle cosiddette “vite indegne di essere vissute”. Nel nostro catalogo c’è un libro che racconta questa storia (Mireille Horsinga-Renno, Una ragionevole strage), e ve lo raccomando.
Ebbene, in questi anni, in molti diversi momenti ho sentito aleggiare l’odore (anzi il fetore) di questo modo di guardare alla vita umana.
Fino a quando non avremo il coraggio di affermare che ogni vita, comunque si manifesti, ha diritto di accoglienza, di cura e di amore, correremo sempre il rischio di risprofondare nell’orrore.
So bene che esiste un’eugenetica che si vuole progressista e democratica, e questo mi preoccupa doppiamente, perché si cerca di contrabbandare sotto le insegne del progresso e della democrazia, e dei diritti inalienabili della ricerca scientifica, quella che è pura e semplice selezione della razza, cioè eliminazione delle vite indegne di essere vissute.
Non auguro alle generazioni che verranno un futuro unicamente popolato di persone sane, belle e rispondenti ai criteri stabiliti da chissà quale autorità in base a chissà quali principi, perché, come ci ha insegnato Orwell, nella fattoria degli animali tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri, o perché, come recita una frase attribuita a Pietro Nenni, c’è sempre uno più puro che ti epura.