Diario editoriale #26: una grande sfida
Scritto da: Ezio Quarantelli
Rieccoci alle prese con il lockdown, in grande stile almeno in alcune regioni, come il Piemonte e la Lombardia.
Diversamente da quanto accaduto in primavera, le librerie potranno restare aperte, ma l’allargamento dello smart working e le forti restrizioni alla circolazione rischiano comunque di causare un forte calo degli acquisti. E novembre, come ben sappiamo, è uno dei mesi più forti dell’anno, a cui spesso gli editori affidano il compito di far tornare i conti che ancora non tornano.
Sono dunque giustificate le voci preoccupate di tanti operatori e a poco vale il richiamo alla situazione, spesso peggiore, di altre categorie.
Il governo centrale e quelli regionali promettono aiuti, ma sappiamo come sono andate le cose la scorsa volta: sono arrivati pochi soldi a chi ne aveva molto bisogno, e tanti soldi a chi avrebbe dovuto e potuto farne a meno.
Vorrei però cogliere l’occasione per fare e suggerire una riflessione diversa. La seconda guerra mondiale è durata cinque anni (per l’Italia) e ha comportato un enorme sacrificio di vite umane, estese distruzioni, limitazioni e sacrifici di ogni genere. Eppure case editrici e librerie (per non parlare di autori e traduttori) non solo sono sopravvissute, ma hanno continuato alacremente il proprio lavoro e hanno contribuito, dopo la fine del conflitto, alla rinascita del Paese e poi al cosiddetto miracolo economico.
Trovo spesso sulle bancarelle libri pubblicati negli anni più bui e che di quei tempi portano impressa la spartana povertà. La carta è di pessima qualità, le copertine essenzialissime, ma ciascuno di essi testimonia la caparbia volontà di riaffermare un ruolo, che è anche un servizio, di testimoniare una presenza e un impegno, di perseguire comunque un obiettivo.
Noi veniamo da anni facili, di facile abbondanza (un’abbondanza che non ci siamo davvero meritati) e di grande faciloneria, e nonostante le recenti, gravi crisi economiche mondiali, abbiamo continuato a pensare che la crescita fosse non solo possibile, ma inevitabile, e che il progresso fosse un’autostrada priva di pedaggi. Non è così: un piccolo, trascurabile virus ci mette in ginocchio nel giro di pochi mesi (altro che cinque anni!).
Ma noi abbiamo ancora abbastanza forza di carattere per resistere e reagire, per continuare a lavorare e a progettare il futuro, senza stupidi ottimismi ma con la giusta dose di speranza? Sapremo essere all’altezza dei nostri padri? Il problema è tutto qui.