Diario editoriale #12: un'America che nessuno conosce
Scritto da: Davide Platzer Ferrero
Terminato il periodo di lockdown anche questo Diario editoriale torna alla normalità. Da questa settimana ne saranno autori, oltre a Ezio Quarantelli, gli editor, i redattori e altri collaboratori della Casa editrice.
Vi voglio parlare di uno scrittore che, fatta eccezione per qualche specialista di letteratura americana contemporanea, probabilmente pochi in Italia hanno letto. Eppure è stato un autore importante, figura centrale dell’Harlem Renaissance, un movimento culturale e artistico che ha esercitato un grande influenza sulla cultura del ‘900. Si tratta di Wallace Thurman.
L’ho scoperto un po’ per caso (come mi capita spesso), inciampando in un articolo su una rivista letteraria americana che esortava a rileggere questo classico contemporaneo che offre uno sguardo spregiudicato su molte questioni ancora di grande attualità. Soprattutto, si soffermava su un titolo, Infants of the Spring, un romanzo fortemente autobiografico, ritratto suggestivo del mondo in cui Thurman viveva e scriveva. Ho iniziato a leggerlo e, be’, mi ha catturato sin dalle prime pagine e mi è piaciuto a tal punto che non solo ho detto a Ezio che non potevamo non pubblicarlo, ma che mi sarebbe piaciuto tradurlo. E così è stato. Con un mese di ritardo a causa delle vicende che ben conosciamo, I figli della primavera è finalmente uscito in libreria.
Voglio raccontarvi perché mi ha appassionato. In realtà, le ragioni sono molte. Innanzitutto appena aperto il libro sono entrato nella famigerata Niggeratti Manor, la casa più eccentrica e pittoresca di Harlem tra gli anni ‘20 e i ‘30, abitata da un gruppo di artisti scapestrati attorno ai quali girava la controcultura afroamericana del periodo. Seguendo le loro vicissitudini e peripezie, tra feste, alcol e musica jazz, mi sono poi immerso in un mondo, suggestivo e affascinante, che è stato un pezzo della storia americana – non solo letteraria – e ha influenzato, direttamente e indirettamente, la cultura occidentale. Devo dire che ho sentito molto vicini i personaggi, con le loro aspirazioni, i loro sogni, le loro ansie; sono assolutamente contemporanei, potrebbero essere giovani di oggi che cercano la propria strada in un mondo contraddittorio. Ho anche trovato molto interessante la discussione sociale, politica, artistica e filosofica che si snoda nelle pagine del libro; l’ho sentita molto attuale, vicina alla mia sensibilità, ai miei interessi, alle mie inquietudini. Infine, è una storia ben raccontata, un romanzo ben costruito e di grande qualità letteraria in cui l’umorismo e l’ironia si mescolano a elementi drammatici e tragici. E potrei proseguire, ma spero di essere già riuscito a suscitare la vostra curiosità.
Wallace Thurman è stato uno spirito inquieto e spregiudicato così come Raymond, il protagonista del libro e suo alter ego letterario: uno spirito libero, spesso in contrasto non solo con la cultura dei bianchi ma anche con quella afroamericana, dalla quale non voleva lasciarsi omologare. Ha percorso solitario la propria strada alla ricerca della propria identità e coltivando la propria individualità – nel pensiero, nell’arte, nella vita.