Decalogo per aspiranti scrittori - Scrivere e descrivere
Scritto da: Ezio Quarantelli
Be’, di certo il titolo è ambizioso, ma – tranquilli – non mi sento Mosè.
Ho usato questa parola, decalogo, giusto per attrarre la vostra attenzione e dirvi che in questo e in altri prossimi interventi cercherò di indicarvi alcune buone pratiche e alcuni errori da non compiere se volete scrivere e farvi pubblicare.
Ecco, forse proprio questa è la prima lezione: si può scrivere, senza necessariamente pensare di farsi pubblicare.
Si può scrivere soltanto per sé, per la propria famiglia, per i propri amici, e questa può essere una cosa molto bella.
Sì, può essere molto bello, e molto istruttivo, e molto utile, scrivere per sé: un diario, una poesia, uno sfogo, un ricordo. Dare forma sulla carta a qualcosa che abbiamo dentro è uno straordinario esercizio di chiarificazione interiore. E un modo impareggiabile per sviluppare la nostra sensibilità.
Talvolta soltanto attraverso la scrittura – cercando il modo giusto di raccontare una certa cosa, scegliendo le parole più espressive e più adatte – raggiungiamo una piena consapevolezza di ciò che abbiamo vissuto o stiamo vivendo.
Vi propongo un esempio molto semplice: a tutti è capitato di contemplare un paesaggio. Se provaste a descrivere quello che avete visto e sentito, vi accorgereste di quanto il vostro sguardo sia rimasto in superficie e di quanto il vostro animo si sia accontentato di un'impressione fuggevole.
Descrivere è un modo per affinare ed educare lo sguardo e tutti i sensi. Imparare a descrivere significa imparare a guardare (anzi, a osservare), e imparare a guardare significa accostarsi in modo nuovo al mondo e alla sua varietà senza limiti.
Ho sempre pensato con nostalgia ai viaggiatori di un tempo, ai loro ritmi lenti, alla fatica che spesso comportava lo spostarsi nello spazio, ai mille inconvenienti che potevano punteggiare le loro giornate. Quelli erano viaggi; i nostri, che in poche ore da Milano ci portano a Tokyo, sono spostamenti.
Molti di quei viaggiatori, volendo trattenere qualcosa dell’esperienza vissuta, scrivevano, disegnavano, acquerellavano. Pensate quale sottile patrimonio di sguardi, osservazioni e confronti era il frutto di quelle imprese. E pensate, per converso, alla nostra rapida e ossessiva accumulazione di immagini, destinate per altro a un rapido oblio. L’occhio meccanico dell’apparecchio fotografico (spesso un cellulare) ha sostituito il nostro, lo scatto anonimo del meccanismo ha preso il posto della mano, della carta, dei colori pazientemente ricercati.
Scrivere, allora, è correre contro il Tempo (e i tempi), rallentarlo, sospenderlo, invertirlo.
È aprirsi a una più profonda percezione della realtà.
È estrarre dal magma degli eventi una «figura» dotata di senso.
Talvolta significa unire mente e corpo in una piena esperienza del presente.
A questo punto, se abbiamo ottenuto anche soltanto uno di tali risultati… al diavolo la pubblicazione!
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Immagine: Luigi Ghirri - Cadecoppi - Dalla strada per Finale Emilia, 1989 - 1990
Fondazione Querini Stampalia_Venezia
Fondo Luigi Ghirri