Christian Dior: 60 anni fa la scomparsa di un'icona del XX secolo
Scritto da: Redazione
I 1200 dipendenti della Maison hanno appreso la notizia prima dalla radio, poi da un comunicato interno, una semplice nota di servizio redatta in questo modo: «Monsieur Christian Dior è morto. Per rispetto della sua memoria e per affetto nel suo ricordo vi chiediamo di lavorare come sempre. Sarebbe stato certamente il suo ultimo desiderio».
Poche ore dopo l’annuncio del decesso, chi compone il numero di telefono della Maison Dior, ELY.93-64, è accolto da una centralinista in lacrime che risponde, con voce rotta: «La collezione sarà disponibile domani».
Negli Stati Uniti e in Europa le copertine delle riviste, e anche quella di «The New York Times», testimoniano l’emozione suscitata dalla scomparsa dello stilista a Montecatini. Le sue spoglie non vengono fotografate per suo espresso desiderio, cosa che denota, meglio di ogni altra, la volontà inflessibile del controllo totale delle immagini.
«Paris Match» se ne fa portavoce: «Nessuna foto è stata scattata dopo il suo decesso. Christian Dior, infatti, aveva fatto una sorta di testamento spirituale, nel quale vietava che gli fossero scattate fotografie dopo la sua morte. E il testamento è stato rispettato».
Quindi Dior non voleva nessuno sguardo post mortem, l’ha scritto nero su bianco. L’uomo dello sguardo non voleva essere guardato, neanche da morto.
Isabelle Rabineau, autrice del libro Le molte vite di Christian Dior, insiste molto sul rapporto dello stilista con la fotografia e il controllo assoluto delle immagini, proprie e della Maison. La Rabineau spiega in modo molto dettagliato le origini di quella che può essere vista come un'ossessione, ma che in realtà rispose a una precisa strategia: fu proprio attraverso le immagini che Christian Dior cominciò ad architettare il suo New Look, ben prima della sua apparizione.
Così, per celebrare lo stilista francese a 60 anni dalla sua scomparsa, pubblichiamo le parole della giornalista che, per la stesura del libro, ha avuto occasione di sfogliare gli archivi della Maison. Dior ha infatti lasciato dietro di sé alcuni ritratti rubati dai migliori fotografi.
Qui di seguito vediamo nel dettaglio quattro fotografie tra le più significative che vengono descritte nella biografia: due ritratti, di Irving Penn e Willy Maywald, e due storiche copertine del «Paris Match», una a cavallo del successo della Maison e l'ultima, dopo la scomparsa del maestro del lusso.
Christian Dior nel ritratto di Irving Penn - 1947
Irving Penn propone un Dior spettacolare, dedito al suo lavoro e profondo. Lo immortala in un bianco e nero contrastato. Le mani, in grande risalto, sembrano avere un’esistenza propria, in fondo alle maniche color ebano dello stilista. La testa è, come sempre, inclinata verso sinistra. Lo sguardo è grave, il sorriso trattenuto.
Nel suo complesso, il ritratto ricorda una Pietà, nella geometria d’insieme e nel sentimento che sembra esprimere il personaggio, la consapevolezza di dover sopportare un’immensa responsabilità. Un alone nero come il carbone gli sfiora le spalle, facendo tremolare le zone tra la luce e l’ombra.
È un Christian Dior drammatizzato che non dispone più di sé stesso.
Le origini della Maison Dior nella fotografia di Willy Maywald - 1947
Una fotografia scattata alle origini della Maison Dior dall’occhio magnetico di Willy Maywald. Siamo nel febbraio 1947, verosimilmente a pochi giorni dalla prima sfilata. La casa di moda in Avenue Montaigne spera nel successo, prepara la vittoria, ma ha ancora qualche dubbio. Lo scenario, quindi, non è ancora circonfuso dalla luce del trionfo. Si percepisce una volontà forsennata, tutta la potenza del desiderio, ma si notano anche le lacune, l’arredamento ancora incompleto, i corpi che si agitano da tutte le parti. Alcuni operai sono impegnati negli ultimi lavori e, nell’urgenza della situazione, non è proprio il caso di farli spostare per scattare la foto, nemmeno per un secondo. A ogni modo, Maywald insiste perché restino. E, visibilmente, ognuno di loro si prende il tempo di adottare una certa posa.
L’imbianchino segue con gli occhi l’obiettivo, mentre l’elettricista, che avvita l’ultima lampadina su una lampada monumentale di cui regge il bordo inferiore, fa finta di aggrapparsi a quel bagliore vacillante, nel caso in cui il suo sgabello smettesse di sostenerlo. Si riferisce di certo al pazzo e al suo pennello che lo tiene attaccato al soffitto. Negli occhi di tutti si legge la consapevolezza che sia pura follia credere di finire tutto in tempo. Insieme a Victor Grandpierre, l’architetto, Dior visualizza la forma che sta prendendo la sua casa di moda. Appare particolarmente felice in tutta quella frenesia. È una delle foto più riuscite dello stilista. Sul suo viso corre il fremito di ciò che sta per succedere e che già presagisce.
Sotto le gonne: il successo di Dior - 1953
La prima pagina di «Paris Match» in cui Dior, messosi volutamente in posa facendo finta di misurare la lunghezza di una gonna con un righello, farà scalpore. Più lunga e più rotonda, la gonna potrebbe calare sul volto dello stilista come un sipario sul palcoscenico. La foto mostra un artigiano all’opera. Dior, come suo solito, si comporta in maniera semplice e trasparente. È il creatore che rifà gli orli all’indomani della guerra e rifiuta la penuria. Allungando la gonna si mostra in grado di allungare il tempo, ricollocarlo in una prospettiva più ampia, oltre il pericolo e la violenza, oltre la fine del conflitto. È la foto di uno che ce l’ha fatta ed è destinata a tutti i sopravvissuti, perché mostra che c’è ancora tempo da vivere e tessuto per sognare.
Stoffa per i sogni. Dior appare come il garante del suo tempo, che si dispiega proiettandosi sulla lunghezza di una gonna; ne verifica gli effetti sulla mentalità delle persone e ne misura i benefici.
L’immagine si può leggere facilmente anche a un secondo livello, da tanto la postura di Dior, appostato sotto la gonna di una modella, lascia percepire una dimensione umoristica. Sì, lui sarà il re degli stilisti, ma solo se le donne lo vogliono. Questo scrupolo per la rappresentazione a più livelli di lettura è un elogio della fotografia e, allo stesso tempo, la tentazione del suo controllo. L’immagine racconta anche la passione di un uomo per le variazioni di scala e dei punti di vista. Si mostra innamorato della prospettiva e delle sue trasformazioni. Infine, la celebre fotografia è anche una strizzatina d’occhio: ogni gonna è un rifugio in cui ripararsi e un nascondiglio pieno di segreti.
Scattata nel pieno del suo successo, mentre il marchio prende il volo e diventa un orizzonte insuperabile nel firmamento della moda, questa foto è l’unione di una perfetta operazione di marketing e di una favolosa provocazione. Aumentare di nuovo il tessuto delle gonne significa uscire dal sistema del razionamento e dell’economia di guerra. Significa riaprire le valvole del lusso, risollevare il tenore di vita e, in qualche modo, saldare i conti. La foto farà scandalo negli Stati Uniti, che sostengono ancora gli Alleati e, in parte a causa di questo, dove sussiste ancora il razionamento. Ma al di là di queste peripezie, l’immagine mostra di cosa è capace il timido Dior.
Intuisce che a ogni epoca corrisponde una forma, una visione, un punto di vista particolare. È questa l’intuizione che, in un momento di perfetta sintonia col proprio tempo, lo porterà al New Look.
L’uomo che dice no: la scomparsa - 1957
«Paris Match» dedica l’intera prima pagina al celebre defunto. Appare a tutta pagina, vestito col suo famoso camice bianco, in una delle sue rare istantanee scattata da Jack Garofalo. Con una mano respinge gli assalti del pubblico e quelli del fotografo. Resiste. Combatte. E nel suo arretrare, che suggerisce nello stesso istante la sua cattura da parte dell’obiettivo, Dior mostra l’animale che è dentro di lui, un essere braccato, dato in pasto al pubblico.
Alle sue spalle si scorge l’intensa attività della casa di moda. Evento rarissimo, «Paris Match» ha utilizzato un solo titolo sulla cover: Parigi in lutto per Christian Dior. La leggenda sfiora i contorni del ritratto, nel quale Christian appare molto concentrato, coi tratti sorprendentemente fermi, lui che di solito offre un volto sfuggente agli obiettivi. «Il grande stilista, morto a cinquantadue anni, aveva difeso fino in fondo il segreto della moda. Lui veglia qui, in camice bianco, quella che sarebbe stata la sua ultima collezione». L’altra qualità della foto, oltre a quella specie di caccia sfrenata che lascia intendere, risiede nel fatto che il Dior rappresentato è serio e bello. La sua sagoma nasconde in parte l’effervescenza che si agita alle sue spalle, la rende quasi invisibile, come un fondale di scena. Dior appare in tutto il suo carisma, in intimità immediata con il lettore.
In quel momento Dior è dappertutto. Ricopre tutti i ruoli. È Madame Bovary. La Signora delle camelie. Behemot o lo spirito della metamorfosi. Amleto e re Lear. Tutti coloro che cedono al fascino di quella prima pagina diventano essi stessi, in un attimo di pura immedesimazione, quell’uomo che fa cenno di no con la mano, che non vuole essere lì ed è trascinato suo malgrado nella stagionalità tellurica della moda, degli amori e infine della morte.
Nel cuore di quel rifiuto di concedersi alla foto, alla fine, Dior acconsente. Senza offrirsi mai, si consegna. Questo doppio movimento racchiuso in uno solo esprime tutto Dior, ed è anche il segreto di una cover particolarmente riuscita, che ancora oggi risulta terribilmente efficace, se non addirittura violenta. Illustrando il paradosso di un uomo che vuole e contemporaneamente cerca di sottrarsi al desiderio, essa permette a ciascuno, semplice lettore o amante della moda, di identificarsi.
Lo vediamo dall’entità dell’omaggio: non si tratta solo di un patriarca dell’haute couture che se ne va, di un signore delle sfilate che esce di scena, ma dell’araldo di un’epopea del XX secolo che muore. Per tutti è il simbolo dell’eleganza, ma anche del successo. Dior rimette in piedi la Francia così come dà forma alla vita degli altri. Con la sua scomparsa è una parte importante della mitologia quotidiana di uomini e donne a essere colpita. Era entrato come nessun altro nelle camere da letto, nell’intimità di tutti. Direttamente o indirettamente.
Non c’è da stupirsi se la morte di Christian Dior, seppur misteriosa agli occhi di molti, sia divenuta un fatto planetario.
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Isabelle Rabineau Le molte vite di Christian Dior |