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Settembre 2018
Vita Sackville-West e Harold Nicolson con i loro due figli

Un matrimonio imperfetto e perfettamente riuscito: Vita Sackville-West e Harold Nicolson

Scritto da: Redazione

Dal 20 settembre torna in libreria Ritratto di matrimonio di Nigel Nicolson: nel ricostruire la storia dei suoi genitori, Nicolson restituisce un'avvincente quadro d'epoca e un'eccezionale galleria di personaggi. Come Alberto Arbasino scrisse: «solo un delirio dei Fratelli Marx sull’Orient Express potrebbe accostarsi al frenetico dramma che sconvolge i quattro coniugi e gli otto suoceri, nonché parecchie zie cattive».
Questa che segue è la prefazione di Nigel Nicolson al libro.

 

Quando mia madre, Vita Sackville-West, morì nel 1962, spettò a me, come suo esecutore testamentario, esaminare tutte le sue carte. Meticolosa com’era, essa aveva conservato ogni cosa in bell’ordine, comprese tutte quante le lettere che lei e Harold Nicolson si erano scambiate nell’arco di cinquant’anni, da fidanzati e dopo il matrimonio, nonché tutti i suoi diari e i diari di sua madre, Lady Sackville. Nei quaranta cassetti di un’enorme credenza di noce, italiana, trovai anche centinaia di lettere indirizzatele da quelli che più avevano contato per lei, fra i suoi amici, fin dall’infanzia. Lì per lì lessi ben poco di quel copioso materiale, limitandomi a notare che ve n’era abbastanza per una circostanziata biografia, ma occorreva lasciarlo decantare.

Quando andai a dare un’ultima occhiata al suo studio-salotto, nella torre del castello di Sissinghurst (una stanza in cui ero entrato sì e no una dozzina di volte, in trent’anni) trovai, in un cantuccio, una valigia a soffietto chiusa a chiave. C’era dentro qualcosa – qualche diadema, forse, nel suo astuccio – e per aprirla, non avendo la chiave, trinciai la pelle intorno alla serratura. La valigetta conteneva un grosso quaderno dalla copertina flessibile, le cui pagine erano tutte riempite, a matita, dalla sua calligrafia. Mi sedetti allo scrittoio e cominciai a leggere quel manoscritto.
Le prime pagine contenevano un paio di canovacci di racconti rimasti alla fase embrionale, ma, alla sesta, sotto la data 23 luglio 1920, prendeva l’avvio una narrazione in prima persona che proseguiva per un’ottantina di pagine. Le lessi da capo a fondo senza muovermi dalla sua scrivania. Si trattava d’un’autobiografia scritta all’età di ventotto anni: una confessione: il tentativo di purgare la sua mente e il suo cuore da un amore che l’aveva posseduta: l’amore per un’altra donna, Violet Trefusis.

Sissinghurst vista dall'alto

Sissinghurst vista dall'alto

La semplicità e il candore di quello scritto, l’eccezionalità degli eventi in esso narrati, l’implicito appello alla comprensione e al perdono, la speranza di resistere a ulteriori tentazioni, mi toccarono profondamente. Da tempo conoscevo, nelle sue grandi linee, e per vie indirette, quella storia che, adesso, mi veniva rivelata in ogni particolare, in un resoconto buttato giù a caldo – senza cancellature o correzioni, quasi – allorché la ferita era ancora aperta e dolorante. Per incerto che fosse l’inizio – con alcune sconnesse e divaganti rievocazioni della fanciullezza – la narrazione acquistava, via via, appressandosi al cuore del problema, maggiore intensità, maggior potenza, grazie anche a quelle variazioni di ritmo e di umore che a un romanziere (qual essa era) vengono istintive, quasi stesse riferendo non le proprie, ma bensì le esperienze di qualcun altro.

Non mostrai mai quel quaderno a mio padre, quantunque proprio lei vi avesse scritto – all’inizio – che lui era la sola persona in grado eventualmente di capirla. Ma la morte della moglie lo aveva tanto scosso che, a rinnovargli il ricordo di quella crisi nel loro matrimonio, gli avrei procurato un dolore più acerbo, forse intollerabile: al punto che avrebbe potuto distruggere quelle carte, o esserne distrutto. Allorché, in seguito, curai la pubblicazione dei suoi Diari e, nella prefazione, citai alcuni innocui brani dell’autobiografia di sua moglie – relativi alla sua infanzia e ai primi tempi del loro matrimonio – lui non mi chiese mai che gli mostrassi anche il resto. Adesso, penso che avrei dovuto fargli leggere tutto, allorché al cordoglio subentrò, smussandolo col tempo, la rassegnazione. Credo che avrebbe convenuto con me che si trattava di un documento unico, nella pur sterminata letteratura d’amore, e una delle cose più toccanti che essa abbia mai scritto; che, lungi dall’insozzarne la memoria, queste pagine l’avrebbero esaltata; e che, un giorno, andavano forse pubblicate.

Harold Nicolson e Vita Sackville-West

Harold Nicolson e Vita Sackville-West

Che il lettore non condanni, in dieci minuti, una decisione sulla quale ho ponderato per dieci anni.

Certo, finché erano in vita Harold Nicolson e Violet Trefusis, una pubblicazione sarebbe stata fuori luogo. Mio padre è morto nel 1968, Violet nel 1972. Mi sono consultato con diverse persone, innanzi tutto con mio fratello Benedict e con John N. Phillips, caro amico di Violet e suo esecutore letterario, che ringrazio per la comprensione dimostratami e per avermi procurato la copia di alcune lettere. L’uno e l’altro m’hanno dato il loro benestare per la pubblicazione, nella forma da me suggerita. Dubbi e timori hanno invece espresso alcuni amici dei miei genitori, ma altri – e la più parte – si son detti d’accordo con me che, al giorno d’oggi, un’esperienza del genere di questa non può più essere considerata vergognosa e irriferibile, dal momento che questa autobiografia è stata scritta con profonda commozione, e possiede una tale carica di sincerità da conferirle valore e significato universali.

È la storia di due persone che si sposarono per amore e il cui amore si fece, di anno in anno, più profondo, benché entrambi si fossero, per mutuo consenso, infedeli. L’uno e l’altra amarono persone del loro stesso sesso, ma non in maniera esclusiva. Il loro matrimonio non solo sopravvisse alle infedeltà, all’incompatibilità sessuale e a lunghe assenze, ma anzi si affinò e si rafforzò in conseguenza di tutto questo. L’uno pervenne a concedere all’altro coniuge piena libertà, senza farla pesare, senza rammarichi o rimproveri. L’onore affondava le radici nel disonore. Il loro matrimonio risultò felice perché l’uno trovava soltanto in compagnia dell’altro la piena serenità e una gioia completa e costante. Il loro matrimonio era un porto tranquillo, al quale sempre facevano ritorno, dopo le avventure d’amore e le crociere erotiche e gli altri approdi. Quel porto era la loro base.

Questo libro è perciò un panegirico del matrimonio, benché in esso si parli di un matrimonio che fu – alla superficie – un fallimento, in quanto incompleto in sé. Marito e moglie arrivarono a essere due compagni ideali solo dopo una lunga e aspra lotta, che non era ancora finita quando Vita Sackville-West scrisse la sua confessione a ventott’anni; ma, una volta raggiunta, l’amicizia durò salda e inalterata tutta la vita; e la loro fu un’unione (come già scrissi nella prefazione ai Diari di mio padre, pur senza rivelare quanto gravi fossero le loro difficoltà) fra le più felici, ancorché fra le più strane, di cui abbiano mai goduto due persone di non comuni doti.

Vita Sackville-West

Vita Sackville-West nel suo studio a Sissinghurst

Quantunque mia madre non abbia lasciato disposizioni in merito alla propria autobiografia – né mi risulta che l’abbia mai fatta leggere ad alcuno – sono certo che essa la scrisse tenendo presente l’eventualità di darla alle stampe. È uno scritto che presuppone un pubblico. Lei sapeva che, dopo la sua morte, io avrei trovato quel quaderno, eppure non lo distrusse. Ella ha scritto queste pagine come un’opera d’arte consapevole, sì da renderle pienamente intelligibili anche a un estraneo; e il ricorso che fa a pseudonimi è già, in sé stesso, indicativo di come s’aspettasse – o magari sperasse addirittura – che altri occhi le avrebbero lette, quindi si premurava di salvaguardare con tale mezzo la reputazione degli amici, pur rischiando la propria. Non mancano, nel manoscritto, brani che suggeriscono come la confessione stessa non fosse intesa come un atto, semplicemente, di catarsi. Non mancano cioè riferimenti a «eventuali lettori»: essa si dice convinta che «la psicologia di individui come me riuscirà di grande interesse» per tutti, una volta che l’ipocrisia abbia ceduto il campo a «uno spirito di sincerità che si diffonderà, speriamo, via via che il mondo progredisce». E oggi quel momento è venuto, dopo più di cinquant’anni da quando essa scrisse queste profetiche parole, e non credo che lei deplorerebbe la rivelazione del suo segreto, ben sapendo come ciò aiuterà e farà coraggio a chi si trova, oggi, in analoga situazione.

Tuttavia, presentare questa autobiografia senza spiegazioni e senza un cenno a ciò che tenne dietro non renderebbe piena giustizia ai miei genitori, poiché essa fu scritta nell’ottavo anno di un matrimonio che ne durò quarantanove. Sono quindi approdato a due conclusioni: che andava pubblicata come la prima – e sia pure principale – parte di una biografia completa; e che andava corredata – data appunto la sua eccezionalità – da conferme, delucidazioni e ampliamenti (e il materiale, all’uopo, non mancava, negli archivi di famiglia). Gli eventi narrati da Vita Sackville-West potrebbero venir riraccontati dal punto di vista di altri protagonisti del dramma – Harold Nicolson, Violet Trefusis, Lady Sackville – o da quello di comprimari come Rosamund Grosvenor, Denys Trefusis e Orazio Pucci, o anche, retrospettivamente, dal mio punto di vista, cioè da quello di suo figlio, che aveva appena tre anni quando il punto culminante fu raggiunto, in un albergo di Amiens, nel febbraio del 1920. Le lettere e i diari dell’epoca gettano nuova luce su alcuni avvenimenti e ne rivelano altri che essa ignorava: ma tutto ciò non fa che corroborare la verità di quanto ella scrisse allora. Il suo ricordo di quei cataclismi è sempre molto preciso.

La storia che segue consta di cinque parti: due dovute alla sua penna e tre alla mia. Le parti prima e terza sono costituite dalla sua autobiografia, parola per parola, divisa in due sezioni e intervallata solo per motivi di equilibrio e intelligibilità; e l’unico mio intervento è consistito, qui, nel rimettere i nomi veri al posto degli pseudonimi (che vengono dati – con relativo corrispondente reale – solo la prima volta in cui ricorrono). Le parti seconda e quarta sono i miei commentari al testo originale, con l’aggiunta di altre notizie essenziali e stralci di lettere e diari. La parte quinta è la giustificazione dell’intero libro e del suo titolo, in quanto vi si fa, in breve, la storia degli altri anni del loro matrimonio, e vi si dimostra – specialmente nel contesto di altri amori più o meno fugaci, di mia madre – l’avventura con Geoffrey Scott e il sodalizio con Virginia Woolf – come l’affetto che unì i miei genitori abbia superato tutti gli ostacoli che si pararono loro, successivamente, di fronte, e come questo amore abbia trasformato un non-matrimonio in un matrimonio, più felice di quanto non avessero mai sognato che riuscisse. 

Se questo non vien fuori dal libro, il libro stesso è un tradimento.

Nigel Nicolson
Castello di Sissinghurst nel Kent
Aprile 1973

 

Il libro

Ritratto di un matrimonio di Nigel Nicolson
Traduzione di Pier Francesco Paolini


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